Gianfranco Tognarelli

 

I ragazzi della 4C sezione pittura Liceo Virgilio di Empoli in stage presso il Centro FuturaMente

 

TESTO DI PRESENTAZIONE  DELLA MOSTRA

 

MORICHETTI – TOGNARELLI 5 -26 Marzo2011

 

Fa quasi tristezza pensare a quante volte il mondo ci tende la mano e noi ce lo facciamo scivolare addosso.

Non fa niente di speciale alla fine. Ci parla. Ci parla continuamente e in così tanti modi che fa quasi male al cuore pensarci.

Eppure quanti di noi colgono questi segni impercettibili?

Alla nostra classe è capitata questa fortuna. Siamo un gruppo di ragazzi come tanti altri, abbiamo le nostre vite a cui correre dietro e così alla fine tante cose ci scivolano addosso; come farcene una colpa?

Eppure qualcuno ci ha preso per mano e tutti insieme ci siamo fermati. Tutti insieme e nello stesso momento.

In una stanza come tante altre, ci siamo ritrovati di fronte ad una serie di quadri ed è iniziato un viaggio.

E alla fine di questo viaggio scopri che in un modo o nell’altro, il tuo percorso ha cambiato direzione.

Gianfranco Tognarelli. Antonella Morichetti.

Ecco, per noi tutto è iniziato da qui, due nomi che all’inizio erano persi tra tutti gli altri e dopo non lo erano più.

Chi sono? Ardua domanda. Due artisti? Due pittori? O cosa?

All’inizio non sapevamo rispondere. Ma la voglia di rispondere era forte; e così ci siamo seduti in cerchio e abbiamo cominciato a parlare: è da lì, da quella condivisione che il viaggio è iniziato.

Siamo partiti analizzando le opere di Antonella Menichetti, ognuno ha espresso il suo parere ed era bello notare come tutti i pensieri e le idee, anche quelle più opposte tra loro, sembrassero convergere in un punto di contatto.

C’è chi ha visto in quelle opere un contrasto tra la morbidezza e la delicatezza dei panneggi e la spigolosa asprezza delle cornici, di quelle linee tese in un movimento così estremo.

E poi c’erano delle parole che fluivano quasi spontaneamente ed una di queste era “contrasto”. Questo contrasto continuo e così evidente, di luci, di ombre, di colori, di forme, che colpiva l’occhio con forza inaudita eppure senza alcuna violenza e che tutti siamo stati concordi nel definire “plastico”. Un contrasto plastico, plastico e dinamico.

A un certo punto si sono alzate delle voci dissonanti secondo cui i panneggi non erano affatto morbidi! Erano spigolosi

E c’era qualcosa di più. Come una dolcezza di fondo. Ed era interessante vedere come la naturale morbidezza della stoffa stropicciata venisse resa con quelle forme rigide, vorticose, tese.

C’era questa delicatezza che traspariva dalle pieghe rigide e impietose, e faceva male al cuore a vederla, e a questo punto era chiaro che quei dipinti, e quelle scale che sembravano dipinti anch’esse, avevano un messaggio intenso a forte da trasmettere a tutti e allora ci siamo adoperati per trovarlo e farlo nostro.

C’è chi ha visto in quelle scale, nel movimento sinuoso di quei panneggi che salivano come serpenti, una sorta di ascensione, un moto di purificazione teso verso l’alto, a dispetto delle difficoltà, dei pioli che intralciavano il passo, delle pieghe troppo rigide che si impigliavano ovunque. La salita continuava: disperata, estrema, necessaria.

E così magicamente, questi panneggi diventano vivi e prevaricano. Improvvisamente risvegliati, improvvisamente liberi di decidere e di scegliere, rompono ogni schema, lottano per affermarsi, per gridare al mondo la propria identità e la propria individualità, per conquistarsi la libertà che gli spetta. Non più immobili, non più inanimati, non più succubi delle cornici o di chissà cos’altro; anche la cornice stessa si amalgama ad essi, in questa danza di libertà ed ecco che nasce un’armonia. Le forme, che improvvisamente appaiono quasi umane all’occhio, si avvolgono, salgono, escono, stringono e sembrano dire “ci siamo, siamo noi e siamo qui, e la nostra esistenza ha un significato, nonostante le difficoltà, nonostante tutto.”

Riscatto.

E’ una parola così intimamente propria di queste opere che sembra quasi trasparire tra i colori, tra le pieghe, a lettere chiare e nitide.

Ecco la chiave di tutto. E’ un riscatto, un’affermazione di sé.

Il panneggio diventa metafora di un’anima tormentata e oppressa, che si contorce nella disperazione, come schiacciata da una forza divina a cui non può sottrarsi; eppure continua a salire. Nonostante tutto. Anche se fino al giorno prima è stato solo uno straccio inutile al mondo, adesso ha acquistato la forza che gli serve e continuerà il suo movimento, la sua missione.

E tutti sapranno quanto vale. O forse solo lui lo saprà, ma di sicuro sarà in pace con la vita e basta questo.

Riscattato dai soprusi e dalle sofferenze avrà finalmente acquistato un valore, e che c’è di più alto e sublime di questo? E’ ciò che ognuno di noi cerca, il valore necessario ad andare avanti a discapito di tutto.

Perché chi l’ha detto che uno straccio non può?

Quelli di Antonella Menichetti hanno trovato in se stessi e nella loro natura tutto ciò di cui avevano bisogno per vincere, il coraggio di riscattarsi alla vita, e ce l’hanno fatta. 

E’ una vittoria; non c’è nient’altro da dire.

La nostra attenzione è poi passata alle opere di Gianfranco Tognarelli e di fronte a noi si sono stagliati paesaggi completamente diversi: forme sinuose e solo apparentemente indefinite che guizzavano, saltavano, strisciavano e si intrecciavano tra loro nei più disparati colori.

Ogni quadro era come una sinfonia di colori a sé stante.

E una delle prime impressioni emerse era effettivamente legata al colore: qui i contrasti sono più morbidi.

E’ vero. Perché le forme della natura protagoniste delle opere di Tognarelli sono tanto amalgamate nella loro danza che i colori stessi si fondono uno con l’altro, sfumando lievemente, e l’effetto che ne risulta è quello di uno scenario onirico.

Altre impressioni venute alla luce nel corso della discussione sono state proprio queste, che immergersi in queste opere era come entrare nella dimensione di un sogno.

Libertà, leggerezza, luminosità, queste le sensazioni maggiormente evocate una volta entrati in questo mondo a sé stante. Eppure, in contrapposizione e insieme a braccetto, una potenza, un dinamismo, un’ energia ancestrale e antica. Una vibrazione.

Come se dietro a queste presenze arboree e fatate, al loro dolce incantesimo, pulsassero le forze sconosciute e terribili da cui ogni cosa ha avuto inizio, la natura stessa, il mondo, la vita.

E così lì dentro, tra quelle pennellate di colore, c’erano li magma incandescente che riposa nel grembo della Terra, le cascate e la forza prorompente dell’acqua e un vortice di liane, di foglie.

Un risveglio generale e improvviso generato da un sogno. Addormentarsi per destarsi, finalmente.

A conti fatti tutti noi abbiamo visto questo nelle opere di Tognarelli, una grazie e insieme un potere. Un potenziale che aspettava di esplodere, a stento trattenuto dalle cornici del quadro, e di cui solo la natura può essere portatrice, lei coi suoi misteri, lei insondabile, tuttora incomprensibile all’uomo, che ha costruito i grattacieli ed è andato nello spazio ma di fronte a un cataclisma ancora resta stupito e ammaliato, inerme.

E così il viaggio sembra finito ma in realtà lo sappiamo tutti che qualcosa è iniziato. Un seme. Dopo questa esperienza la vita ci assorbirà di nuovo tra le sue correnti. Ma se c’è qualcosa in questa vita di cui andar sicuri, è che una volta che hai piantato un seme questo resta. E resiste alle piogge e a tutto il resto.

Adesso sappiamo dare una risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio. Antonella Morichetti e Gianfranco Tognarelli, chi sono?

Sono due persone. Come noi, come voi. Sono due persone e a modo loro hanno lasciato un segno.

E da adesso in poi c’è chi lo ignorerà deliberatamente e chi invece deciderà di fermarsi e osservarlo. C’è chi amerà questo segno e non lo vedrà più come una semplice linea tracciata sulla sabbia, ma scorgerà in esso un significato.

Ma tutto questo è relativamente importante. Ciò che conta è che una volta che lasci il tuo segno questo rimane. Possono passare i secoli e può svanire il tuo ricordo, tanto che nessuno di chi vive ricorda quello che hai fatto e l’enorme lavoro interiore compiuto per arrivarci; ma il mondo non dimentica. Non dimentica mai.

Probabilmente questo può bastare.

Due nomi. Semplici nomi. Che la prima volta che li senti puoi pensare; sì, e allora?

Poi butti uno sguardo e con la coda dell’occhio scorgi i solchi che hanno lasciato per arrivare fino a qui. Intuisci che a modo loro hanno lasciato qualcosa, come una traccia,e ti pare di sentire sulla pelle il segno di questa marchiatura a fuoco.

 

I ragazzi della 4C sezione pittura Liceo Virgilio di Empoli in stage presso il Centro FuturaMente


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